Era il 6 gennaio quando, sostenendo l’illegittimità delle elezioni che avevano portato alla vittoria del candidato democratico Joe Biden, centinaia di seguaci di Trump invasero armati, in diretta Facebook, l’inviolabile sede del Governo statunitense, Capitol Hill, un luogo quasi sacro, il tempio della democrazia. Così facendo, diedero vita a quello che molti definirono un goffo tentativo di golpe, emblema delle tendenze autocratiche e della crescente ostilità verso il sistema democratico, la cui fragilità è stata quanto mai evidente agli occhi di tutti. A evitare che il correre dei mesi e il passare degli eventi annebbiasse nelle nostre menti il ricordo di tale evento, ha pensato l’assalto alla sede romana della Cgil.
Sabato 9 ottobre, Roma, ore 17:00. In Piazza del Popolo sono oltre diecimila, a detta dei giornalisti, i manifestanti a protestare contro il Green Pass. Alle 17:30 circa, in tremila, a seguito del fallito tentativo di qualche manipolo ridotto di forzare i posti di blocco davanti a Palazzo Chigi, si incamminano verso la sede nazionale della Cgil, scelta che appare, seppur di ripiego, tutt’altro che casuale. Una volta dentro, il copione non è molto differente da quello di Washington, con tanto di diretta social improvvisata, avviata dal leader di “IoApro”, Biagio Passaro, niente di paragonabile, tuttavia, alla telegenia dell’assalto al Campidoglio. Il folle sabato romano si concluderà con ben dodici arrestati, tra i cui nomi spiccano quelli di personaggi come Roberto Fiore e Giuliano Castellino, rispettivamente il fondatore e il leader romano di Forza Nuova, movimento di estrema destra che della sua ispirazione al Ventennio non ha mai fatto un mistero.
La memoria, così, è tornata ai più bui capitoli della storia del nostro paese, quando fatti come questo riempivano le cronache dei giornali (28 furono le sedi sindacali attaccate durante gli anni dello squadrismo) e in poco tempo degenerarono nella dittatura. Il fascismo, del resto, è questo: un passato che, per quanto si tenti di rinnegare – a volte con fin troppo poca fermezza –, continua a sopravvivere nel presente e a riproporsi nei momenti più critici.
Senza usare mezzi termini, l’ex ministro dell’interno Marco Minniti, in un articolo uscito su Repubblica, ha definito tale evento, il tentativo di assaltare la sede di un governo e l’attacco alla sede del più importante sindacato italiano, un atto eversivo, sostenendo che tale fenomeno vada stroncato sul nascere. Difendere la democrazia dall’eversione, infatti, è un dovere civico e morale che prescinde – o almeno dovrebbe – dal proprio schieramento politico e dai propri ideali.
Così, mentre Giorgia Meloni, sul palco del congresso di Vox, partito di estrema destra spagnolo, si interrogava sulla matrice dell’assalto squadrista, evidentemente poco chiara, malgrado tutto, alla leader di Fdi, dando luogo a non poche perplessità, anche all’interno del centrodestra, i partiti del centrosinistra hanno sposato una linea di ferma condanna rispetto ai fatti romani del 9 ottobre. Posizione che si è concretizzata, il lunedì seguente, nella deposizione da parte del Pd di una mozione che chiede al governo di «sciogliere Forza Nuova e tutti i movimenti di chiara matrice fascista» ai sensi della legge Scelba. Il M5s ha aderito fin da subito, e l’intero centrosinistra, sebbene ogni partito con un proprio testo, ha seguito l’esempio del Pd e raccolto l’appello di Enrico Letta rivolto «a tutto il Parlamento affinché si unisca per lo scioglimento di tutte le realtà che portano avanti la violenza». Lo stesso non si può dire per il centrodestra, che, a seguito di una consultazione telefonica tra Salvini, Berlusconi e Meloni, ha proposto un’altra mozione che invoca «interventi contro tutte le realtà eversive, non solo quelle evidenziate dalla sinistra», chiaro diversivo dalle finalità ostruzionistiche per impedire al disegno dei dem di farsi strada, per evitare di ritrovarsi faccia a faccia con i propri scheletri nell’armadio.
Sarebbe stata l’occasione buona per i sovranisti per affrontare, una volta per tutte, la propria storia e liberarsi dei fantasmi del passato. Si è di nuovo preferito, tuttavia, scegliere la via delle ambiguità e delle chiacchere da bar, del vittimismo e della critica al Viminale, facendo l’esatto opposto di quanto sarebbe stato auspicabile, di quanto sarebbe risultato opportuno, dalle discutibili sfumature – più o meno velate − dei commenti a caldo, a quella controproposta che suona quasi come una sfida. Per non parlare, poi, della decisione di non scendere in piazza a fianco di Cgil, Cisl e Uil in risposta all’assalto del 9 ottobre, sostenendo che così facendo sarebbe stato violato il silenzio elettorale precedente al ballottaggio delle amministrative, dimenticando, tuttavia, che la lotta al fascismo e alla violenza non hanno fazione politica e dovrebbero accomunare tutti i partiti dell’arco costituzionale.
A questo punto, risulta necessario chiarire un elemento fondamentale: lo scioglimento di Forza Nuova non porterebbe alla scomparsa di tali realtà, certo. Si tratta di un gesto altamente simbolico. Sarebbe, però, un chiaro messaggio da parte delle Istituzioni, nonché un atto di tutela della Costituzione. Non è il momento delle indeterminatezze, non è il momento in cui optare per zone grigie. In attesa della votazione della mozione del Pd, dunque, si scelga da che parte stare, senza lasciare spazio a interrogativi. Tenendo bene a mente, tuttavia, un dettaglio non irrilevante: l’Italia è una Repubblica antifascista per legge, non per opinione.
A cura di Alessia Prunecchi