Oggi si tengono le elezioni americane, le più influenti nel panorama mondiale. È interessante osservare come funziona il sistema elettorale americano. Gli Stati Uniti sono una repubblica federale, composta da 50 Stati e un distretto federale, e il suo sistema elettorale intende rappresentare ogni territorio. Questo sistema è basato sui cosiddetti “Grandi Elettori”, 538 persone – lo stesso numero dei membri del Congresso più i tre elettori del distretto di Columbia – collegate ad un partito, che vengono elette dai cittadini con il compito di eleggere il presidente e il vicepresidente. Il numero di Grandi Elettori per ciascuno Stato varia in base alla popolazione, con un minimo di 3: si passa dai 3 dell’Alaska ai 54 della California. Il numero dei Grandi Elettori non corrisponde precisamente al numero della popolazione: quindi, per esempio, un cittadino del Wyoming esprime un voto che vale quattro volte di più di uno della California. Questo sistema non molto democratico è un modo per garantire maggiore rappresentatività agli Stati più piccoli.
In 48 stati su 50 le elezioni funzionano con un sistema maggioritario puro: il candidato che prende un voto in più dell’altro si prende tutti i Grandi Elettori di quello Stato. Non c’è quindi proporzionalità tra i voti del singolo Stato e il numero di Grandi Elettori: se un candidato prende il 51% dei voti o il 95%, non cambia niente. Questo fa sì che in molte elezioni risulti vincente il candidato con meno voti assoluti, ma distribuiti meglio tra gli Stati, portandolo ad avere più grandi elettori, come è accaduto nel 2016 con la vittoria di Trump su Hillary Clinton; infatti, nonostante questo avesse 3 milioni di voti in meno della candidata democratica, ha ottenuto 304 grandi elettori, 77 in più dell’avversaria. Le elezioni si articolano quindi in due livelli: prima il voto popolare, poi quello dei Grandi Elettori, che viene definito Collegio Elettorale. Ma chi garantisce che i grandi elettori votino effettivamente per il candidato per cui sono stati eletti? Nessuno. Infatti, ci sono i cosiddetti “faithless electors”, gli elettori infedeli, che decidono di non votare per il candidato per cui sono stati scelti. Ce ne sono stati 205 in tutta la storia elettorale americana e ben 7 nelle elezioni del 2016, l’unico caso negli ultimi 100 anni in cui il numero di elettori infedeli ha superato l’unità.
Come è logico che sia, questo sistema fortemente maggioritario dei Grandi Elettori è fortemente criticato perché il voto di alcuni Stati conta più di altri o perché succede spesso che il candidato più votato non venga eletto o anche perché i Grandi Elettori, al giorno d’oggi, non hanno senso di esistere. La decisione di adottare questo sistema fu presa dai padri fondatori con la convinzione che l’elettorato non fosse abbastanza informato per prendere queste decisioni e che ci volessero delle persone dotate di maggior giudizio che evitassero pessimi candidati. Questo sistema maggioritario viene definito “winner-takes-all” ed è applicato in tutti gli stati eccetto due, il Maine e il Nebraska, che optano per un sistema più proporzionale. Il Nebraska dal 1992 ha un sistema elettorale che prevede che 2 grandi elettori su 5 vadano in blocco al vincitore del voto, mentre i restanti 3 vanno in blocco al candidato vincente in ognuno dei tre distretti in cui è diviso il Nebraska. Un sistema analogo viene applicato nel Maine, in cui i Grandi Elettori sono divisi così: due vanno direttamente al vincitore del voto popolare e due vengono assegnati a chi vince le elezioni in ognuno dei due distretti in cui è diviso il Maine.
Inoltre, è proprio a causa di questo sistema che negli Stati Uniti sono diventati determinanti solamente due partiti. Per un terzo, infatti, sarebbe molto difficile arrivare primo in uno Stato e ottenere i suoi Grandi Elettori. I valori che oggi attribuiamo ai due partiti, come l’essere progressisti per i Democratici e l’essere conservatori per i Repubblicani, si sono sviluppati nel corso del Novecento, specialmente dopo le battaglie per i diritti civili degli anni Sessanta. Prima era il Partito Democratico a essere a favore della schiavitù e a sostenere la popolazione rurale degli Stati del sud, mentre oggi associamo questa posizione più istintivamente al Partito Repubblicano.
Questo sistema fa in modo che la campagna elettorale si concentri in pochi Stati in bilico, i cosiddetti “swing States”, perché nella maggior parte degli Stati è possibile prevedere con certezza quale sarà il partito vincente grazie alla storia elettorale del paese e ai sondaggi. Per questo in stati come la California, dove sicuramente prevarrà il Partito Democratico, la popolazione non si trova città invase di volantini elettorali o di volontari, perché i fondi per le elezioni vengono spesi negli Stati in bilico. In queste elezioni gli swing States sono sette: Arizona, Georgia, Michigan, Nevada, North Carolina, Pennsylvania e Wisconsin. A poche ore dal voto la situazione è molto incerta in ognuno di questi stati.
A cura di Matteo Parisi