Oggi viviamo in un mondo in continua urbanizzazione: le città crescono e crescono, invadendo le zone di campagna e inglobando i centri limitrofi fino a diventare enormi nuclei abitativi e industriali. In questo panorama urbano le periferie sono simbolo dell’urbanizzazione, in quanto l’espansione delle città è indissolubilmente legata alla crescita (o decrescita) demografica e all’afflusso migratorio. Perciò, è sì vero che le periferie, accogliendo i nuovi abitanti, risolvono (almeno in parte) queste due questioni, ma, al contempo, la loro costruzione e conservazione costituiscono una cagione del degrado ambientale e sociale delle nostre città.
In Italia i tassi di povertà sono in crescita; un fattore spesso lasciato da parte, ma sempre più preoccupante, soprattutto visto che nell’ultimo decennio il tasso di individui nella più completa indigenza a livello nazionale è passato dal 6,9% al 9,7%. Se ciò non bastasse, un quarto della popolazione è a rischio di povertà*. Questo costituisce un problema rilevante non solo a livello politico o sociale, ma anche a livello ambientale. Case, interi quartieri lasciati nel degrado e nell’abbandono più totale perché le famiglie che vi abitavano non possono più permettersi di viverli per ragioni, ovviamente, di tipo economico. Le strutture deserte, allora, o cadono a pezzi, o in balìa della criminalità organizzata (questa contemporaneamente causa ed effetto della povertà).
E’ compito dei Governi dar mano alle famiglie e prendersi cura degli spazi abbandonati. Le periferie dovrebbero essere aree vivibili, destinate alla comunità, e vivaci centri culturali dove diverse culture interagiscono fra loro. Eppure, la maggioranza dei fondi ambientali viene destinata ai centri storici, che ormai non appartengono più ai cittadini: bensì, questi vengono svenduti ai turisti e alle multinazionali come perfetti cimeli della nostra identità nazionale. E mentre i turisti si innamorano della ‘dolce vita’ italiana, nelle periferie la gente vive nel degrado ambientale e nel sempre maggiore isolamento da parte delle istituzioni.
D’impatto è anche la mobilità, la quale attualmente è tutt’altro che sostenibile. Il funzionamento della rete dei mezzi pubblici all’interno di una stessa città è importantissimo per il benessere di chi ci vive, in primis, e anche di chi vi si reca ogni giorno per lavoro o studio. Importantissimo, ripeto, ma non pervenuto. Ai cittadini non servono solo trasporti efficienti, ma anche trasporti ben distribuiti sul territorio che raggiungano tutte le aree cittadine, residenziali e industriali. Da questo lato, in Italia siamo in grave carenza di una rete pubblica sostenibile, nei confronti sia dell’ambiente che delle persone.
L’ architetto Renzo Piano è stato un grande avvocato, negli ultimi anni, della tutela delle periferie. Da un suo articolo, pubblicato su “Il Sole 24 Ore” il 26 gennaio 2014 e intitolato “Il rammendo delle periferie”, cito: “C’è bisogno di una gigantesca opera di rammendo e ci vogliono delle idee”. Di idee siamo pieni, in Italia, ma di volontà di metterle in atto non ce n’è mai abbastanza. “E’ fragile il paesaggio e sono fragili le città, in particolare le periferie dove nessuno ha speso tempo e denaro per fare la manutenzione”. Agli occhi di Renzo Piano, e così ai miei, tutto ciò è chiaro come il Sole; ma qualcuno potrebbe sostenere che, di fatto, l’attuale Governo Meloni abbia stanziato fondi e bonus al fine di rimborsare in parte i costi delle ristrutturazioni domestiche. Questo è assolutamente vero, ma è altrettanto vero che una serie di sussidi, da soli, non possono risolvere, o nemmeno contenere soltanto, il problema delle periferie.
Molti edifici in queste zone sono costruiti con materiali di grave impatto ambientale e di scarsa qualità; perfino le fondamenta sono concepite ed erette con la prospettiva di durare pochi decenni e per rispondere alle richieste di una popolazione in continuo calo di reddito e potere d’acquisto. Evidentemente non è sufficiente costruire pensando alla realtà presente, bisogna avere in mente il futuro; ciò significa destinare più fondi alla manutenzione delle zone di periferia e allo sviluppo di aree in cui non solo si abiti, ma anzi faccia piacere vivere. In una città come Firenze, ad esempio, i profitti tratti dalle attività commerciali e dal turismo dovrebbero essere quasi interamente destinati non soltanto alla cura e all’abbellimento del centro storico, ma anche alle aree di periferia. Questa è un’idea ambiziosa, certo, come ce ne sono di molte, ma potrebbe portare a una soluzione?
A cura di Agnese Tozzi
*cfr. dati Istat relativi al 2014 e al 2023