12 giugno

Si situaˇin questi ultimi trent’anni

il dominio delle televisioni,

anche in Italia a rinnovar gli inganni

giunto del deserto delle passioni.

È un susseguirsi – non fondale –

di gelide cure che ispirazioni

accendono e tacciono, col segnale

di un’alba buia, buia come gli occhi

degli squali. Tracciato è un canale

che risalgo faticoso, ed i solchi

che da esso disperdono, diramano,

mettono dove non ci sono sbocchi.

Ma quest’esilio qualcosa reclama:

smarrite, inutili figurazioni.

Quale agitata intenzione mi chiama 

laddove si apprestano le illusioni?

Crollati i segni con l’Ottantanove,

quali grandi e corsare aspirazioni

l’animo ancora fuori da sé muove?

E quando fu concluso il Novantuno,

e di cemento affiorarono nuove

accezioni del mondo – che fosse uno,

come lo fu a Berlino e a Tienanmen?

Il crescere dei cantieri nessuno

vide, finché emerse Milano Tre.

I cigni andando ai laghi artificiali

non recavano pace, ma perché

nuovi, forme inedite di ideali,

sommosse invertite, a vedersi pure

decorose, a volo sulle bianche ali,

ma che avevano trascorso pianure

disamorate, e il tragitto era nelle

piume. Non lontanavano le dure

evenienze i chiarori delle stelle.

Sopra nuove cittàˇun cielo nuovo

ricoprono i segnali delle antenne,

le parabole rivolte a un non-dove.

Ecco l’estremo inganno della nostra 

epoca che perì al peso di nuove

geografie dove tutto si compra.

Nuovi palazzi crescon sulla via,

delle cose umane s’ingrande l’ombra.

Ma a che vale adesso la poesia,

se a germogliare è un continuo morire?

Se a muovere il moto è l’economia?

Un unico sé, non l’interloquire?

Non è comunità che non riveli

i monoteismi del percepire,

nella tregua apparente gli sfaceli

sepolti sotto una calma costante.

Gli inganni le radici d’asfodeli

rivelano all’incauto passante

che sono. Sterminato panorama

metropolitano risalgo ansante

dove solo chi vuole perdere ama;

e salvaguardato è solo il privato.

Un’antenna balugina lontana.

Cosa fu allora per anni cercato?

L’estremo sperone d’ideologia,

un presidio che fosse preservato

dalle cose. Ma diranno stantia

questa piccola inutile illusione;

la chiameranno una mitologia.

Poi la nostalgia una conclusione

suppone. Per me inizio non ci fu.

Si arriva sempre tardi all’occasione,

si nasce sempre dopo, quando più

non vibra la consonanza con l’epoca.

Non là si colloca la gioventù

mia, bensì già nell’oltre-sovietico;

qui seguo le forme del calciatore

fluire forti sul verde sintetico.

Le finestre delle case un bagliore

mandano che non è di focolare,

ma l’immagine d’un azzurro airone

racchiuso nel volo. Ed oltre un canale

il film, il quiz, la domanda al presidente

col microfono, cosìˇattoriale,

e le luci che fanno espressamente

lo spettacolo della politica.

E la vita è un palinsesto presente.

Il pegno per un’illusione mitica

quasi sono dunque nuove illusioni?

Ho di fronte a me la vita eremitica:

non discariche di televisioni,

ma selve accese, parlanti, affollate.

Spente sono, in me solo, le passioni.

Federico Spagna


L’illustrazione è Ritratto di Berlusconi (1989), di Deanna Milvia Frosini.

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