Estinzione e rinascita

 Questo articolo fa parte del numero 26 del MichePost, uscito in formato cartaceo il 10 dicembre 2021


Quella di stressare una popolazione più o meno estesa di esseri viventi fino a condurla a un’effettiva sparizione, è una pratica che l’uomo compie da quando lo si può definire tale. Si potrebbe dire che nel momento stesso in cui l’uomo ha disboscato le prime foreste, dissodato i primi campi, drenato le prime paludi, c’è sempre stato un roditore silenzioso, o un insetto di dimensioni infinitesimali, che si è estinto. E neanche a considerare un collo di bottiglia come ultima speranza di salvezza: i fossili ci sono, e parlano.

Una delle prime estinzioni documentate e registrate dalla memoria umana risale al 1300 a. C., quando in Cina viene avvistato per l’ultima volta un esemplare di Elephas maximus rubridens, noto anche come “elefante dalle zanne rosa”, ambito dai cacciatori dell’epoca per il suo pregiato avorio. Almeno 3300 anni di elenchi con su scritto i nomi delle specie estinte, quindi. Solo nello scorso secolo si sono estinte almeno 400 specie di vertebrati. E sebbene il Novecento sia stato il grande secolo dell’inquinamento – una sorta di sottoscrizione alla tendenza avviata nell’Ottocento –, i massacri ai danni di altri esseri viventi non si sono fatti mancare neanche nel passato. Tutti ricorderanno l’ormai emblematica vicenda dei Dodo, polli tropicali venuti direttamente dall’Era glaciale e adattatisi a un clima subequatoriale, che furono sterminati dai coloni olandesi e portoghesi, e dai nuovi predatori europei arrivati con gli umani.

Bracconaggio, fiumi avvelenati, ecosistemi rasi al suolo: i mezzi per distruggere intere specie animali sono tanti e si sono evoluti di pari passo con l’uomo. Quando si è potuto usare l’arco e la freccia, lo si è usato, così come con lo schioppo prima, e il bulldozer poi.

Un fisico in erba direbbe che l’entropia misura la tendenza di un sistema a raggiungere una condizione di disordine irreversibile. Il tempo, a suo modo, è una tensione verso il disordine. Sarebbe interessante misurare l’entropia dell’ipotetico sistema “rapporti tra uomo e animali”. Il disordine sarebbe da identificare con un appiattimento della biodiversità. Sembra un paradosso, ma un ecosistema sprofonda nel caos nel momento in cui perde la complessità che lo aveva caratterizzato per millenni, e l’aveva tenuto in equilibrio. L’irreversibilità degli errori potrebbe apparire dominante sulla possibilità di ripararli. Animali come il rinoceronte nero, il leopardo di Zanzibar, la tigre di Giava e quella del Caspio non torneranno mai più a camminare, cacciare e riprodursi, su questo pianeta. Loro, e altre centinaia di specie no. Ma forse ci sono alcuni animali predisposti per una rinascita.

La farfalla blu di Xerces (Glaucopsyche xerces) – descritta per la prima volta nel 1850 e dichiarata estinta solo novanta anni dopo – abitava le dune sabbiose della California, e per molto tempo è stata ritenuta una sottospecie di Glaucopsyche lygdamus (“farfalla blu-argento”). Lo scorso luglio, un team di ricercatori del Field Museum of Natural History di Chicago sono riusciti a sequenziare buona parte del suo patrimonio genetico, accertandola come specie a sé stante, e quindi confermando la teoria secondo cui la farfalla blu di Xerces è il primo insetto della storia a essere scomparso a causa dell’attività umana. In seguito a questa scoperta, addetti ai lavori e non hanno intravisto una possibilità di clonazione, vista l’eccezionale quantità di materiale genetico sequenziato. Ma la comunità scientifica non è così unanimemente fiduciosa. A partire dagli stessi ricercatori del Field Museum: una “de-estinzione” della farfalla blu di Xerces deve necessariamente comportare un ristabilimento della vegetazione che ne garantiva l’esistenza laddove ora sorgono sobborghi e cittadine, oltreché la re-introduzione di alcune specie di formiche simbiotiche. Inoltre, l’esemplare di farfalla blu di Xerces preso in esame ha più di novant’anni: una sua eventuale clonazione potrebbe comportare un invecchiamento assai precoce, come accadde negli anni ’90 a Dolly, la pecora clonata morta a soli sette anni d’età. La cellula da cui era stata creata aveva sei anni. La vita media di una pecora si aggira intorno ai dodici anni d’età: i conti tornerebbero.

La clonazione di specie estinte o in via d’estinzione ha suscitato anche dubbi di tipo bioetico: è giusto intervenire su un processo naturale quale è, in linea di massima, l’estinzione? Perché, effettivamente, l’estinzione è sempre esistita. Presa di per sé, l’estinzione non è un’alterazione antropica degli equilibri naturali. Ma è anche vero che è stato l’uomo a forzare certe estinzioni, a tal punto che non possono più essere considerate un effetto naturale della legge della sopravvivenza. In questi casi, l’intervento umano potrebbe riparare agli errori compiuti, e non peggiorarli. E il sequenziamento del materiale genetico sembra essere la strada da percorrere.

Negli anni ’90 fu appunto il turno di Dolly. Non si può dire però che la pecora (Ovis aries) sia una specie in via di estinzione o estinta già. E suggestiona sapere che, nel bel mezzo della neve, una troupe di scienziati lavora segretamente per riportare in vita il mammut (Mammuthus primigenius). Forse, però, non è di un elephas dei ghiacci che abbiamo bisogno, oggi. Ci sono esseri molto più piccoli, che ronzano e pungono tuttalpiù, che stanno scomparendo. Non solo api: sono molti gli insetti, minuscoli e invisibili, che tengono insieme le fila di un intero ecosistema e che rischiano di estinguersi. In pochi decenni l’uomo potrebbe rivoluzionare un pianeta che, nei suoi angoli più nascosti, dove proliferano gli insetti, è rimasto pressoché immutato per milioni di anni. Cambiamenti climatici, intensificazione dell’attività agricola e dell’uso di pesticidi: la biomassa totale degli insetti diminuisce sempre di più, anno dopo anno. Le stime più preoccupanti attestano al 40 % le specie di insetti attualmente in pericolo di estinzione.

La farfalla blu di Xerces segna un punto d’inizio per nuovi studi sul sequenziamento del materiale genetico. Forse è davvero possibile riportare il nostro “sistema-Terra” a una situazione di ordine. E scoprire che non tutto il disordine è irreversibile.

A cura di Federico Spagna

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