La lingua segreta delle donne in Cina

  Questo articolo fa parte del numero 25 del MichePost, uscito in formato cartaceo l’8 maggio 2021


Esistono messaggi che non tutti possono decifrare. A dire il vero, ce ne sono alcuni che solo le donne possono fare, e nello specifico le donne del popolo Yao, che abitano la regione cinese dello Hunan. 

Si tratta dei messaggi in lingua Nüshu, l’idioma segreto delle donne di campagna, delle diseredate che affollano la storia cinese, sempre anonime, generazione dopo generazione, sballottate di marito in marito, di villaggio in villaggio.

Il Nüshu è una scrittura sillabica che consta di circa 700 caratteri, e nasce come sistema di comunicazione tra la donna sposata e le proprie amiche e sorelle, dopo essere state bruscamente separate nel momento del matrimonio. Giacché le donne cinesi non potevano frequentare la scuola, ed erano quindi tutte pressoché analfabete, dovettero inventarsi un alfabeto completamente nuovo per poter parlare tra di loro, e così sanare la distanza imposta dalla vita coniugale. Era usanza, infatti, nelle zone rurali della Cina, che la sposa abbandonasse i propri genitori e il proprio villaggio per abitare con la famiglia del marito. E il rito è andato avanti fino al secolo scorso, prima di essere parzialmente interrotto dal regime di Mao. Per esempio, lo scrittore Premio Nobel Mo Yan, nel suo romanzo Sorgo rosso, ambientato tra gli anni ’20 e ’30 del ‘900, in merito a un matrimonio in un villaggio di campagna, racconta: “Giunse infine il giorno delle nozze. [La donna] fu fatta entrare in una portantina trasportata da quattro uomini […] Sembrava di essere in una bara, che aveva portato chissà quante altre spose ora defunte”.

“Il cuore, come trafitto da aghi, le doleva profondamente”, prosegue Mo Yan. Il dolore di lasciare i propri cari per ritrovarsi nelle braccia di uno sconosciuto sembra perciò essere una costante nelle dinamiche nuziali che si sono consumate, nel corso dei secoli, nel silenzio delle campagne cinesi. Spesso le mogli finivano per vivere in condizioni di semi schiavitù, relegate in una sorta di gineceo orientale, alla mercé di un marito imposto e dei suoceri.

A tal punto sono tragiche le prospettive di vita nella Cina rurale che sono le donne stesse ad autocommiserarsi, e a considerarsi il frutto di un karma negativo nella vita precedente. E proprio gli scritti in Nüshu sono una testimonianza di questo sentire. In uno di essi, conservato nel tempio della Montagna Fiorita (Shanjianxu, Hunan), si legge:

Anime sorelle abbiate pietà di me.

Vorrei seguirvi dove siete

[…] Di questo mondo non mi attira più niente

Vi scongiuro, trasformatemi in uomo

Non voglio più avere il nome di donna.

Essere donna, in Cina, pare dunque una maledizione, anche fino a pochi anni fa, quando era ancora in vigore la “politica del figlio unico”. Dal 1980 al 2000, secondo le statistiche, sono svanite nel nulla 13 milioni di bambine che sarebbero dovute nascere in Cina.

Il Nüshu ha quindi rappresentato una sorta di scappatoia, una piccola forma di resistenza all’obbedienza incondizionata nei confronti del marito, pur rimanendo una testimonianza della sofferenza patita da milioni di donne cinesi. C’è da immaginarsele, riunite a lavorare nella zona della casa a loro destinata e, nel frattempo, intonare questi lamenti, controparti, per certi versi, di quanto cantavano gli uomini negli immensi campi di sorgo o di riso.

L’esperienza del Nüshu, poi, è quella della creazione massima, della nascita, cioè, dal nulla, o dal pressoché nulla, come può essere l’analfabetismo, per giungere alla forma definitiva della poesia.

Una letteratura che è rimasta indecifrabile ai più fino a pochi anni fa: un vero e proprio punto interrogativo nella storia cinese. Prima – e per secoli è stato così – questo linguaggio è stato appannaggio esclusivo delle donne, di tante scrittrici senza nome, cresciute nella durezza del mondo contadino. Sempre Mo Yan, quasi descrivendo la propensione innata delle donne cinesi alla poesia, scrive: “mia nonna, se fosse diventata scrittrice, avrebbe calpestato un gran numero di scrittori fino a farne uscire la merda… nonna, al tuo confronto tuo nipote pare un pidocchio bianco che non mangia da tre anni…”.

Nell’immagine, Gong Li nei panni della “nonna” nel film Sorgo Rosso di Zhang Yimou, tratto dall’omonimo romanzo.

A cura di Federico Spagna

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