Si situaˇin questi ultimi trent’anni
il dominio delle televisioni,
anche in Italia a rinnovar gli inganni
giunto del deserto delle passioni.
È un susseguirsi – non fondale –
di gelide cure che ispirazioni
accendono e tacciono, col segnale
di un’alba buia, buia come gli occhi
degli squali. Tracciato è un canale
che risalgo faticoso, ed i solchi
che da esso disperdono, diramano,
mettono dove non ci sono sbocchi.
Ma quest’esilio qualcosa reclama:
smarrite, inutili figurazioni.
Quale agitata intenzione mi chiama
laddove si apprestano le illusioni?
Crollati i segni con l’Ottantanove,
quali grandi e corsare aspirazioni
l’animo ancora fuori da sé muove?
E quando fu concluso il Novantuno,
e di cemento affiorarono nuove
accezioni del mondo – che fosse uno,
come lo fu a Berlino e a Tienanmen?
Il crescere dei cantieri nessuno
vide, finché emerse Milano Tre.
I cigni andando ai laghi artificiali
non recavano pace, ma perché
nuovi, forme inedite di ideali,
sommosse invertite, a vedersi pure
decorose, a volo sulle bianche ali,
ma che avevano trascorso pianure
disamorate, e il tragitto era nelle
piume. Non lontanavano le dure
evenienze i chiarori delle stelle.
Sopra nuove cittàˇun cielo nuovo
ricoprono i segnali delle antenne,
le parabole rivolte a un non-dove.
Ecco l’estremo inganno della nostra
epoca che perì al peso di nuove
geografie dove tutto si compra.
Nuovi palazzi crescon sulla via,
delle cose umane s’ingrande l’ombra.
Ma a che vale adesso la poesia,
se a germogliare è un continuo morire?
Se a muovere il moto è l’economia?
Un unico sé, non l’interloquire?
Non è comunità che non riveli
i monoteismi del percepire,
nella tregua apparente gli sfaceli
sepolti sotto una calma costante.
Gli inganni le radici d’asfodeli
rivelano all’incauto passante
che sono. Sterminato panorama
metropolitano risalgo ansante
dove solo chi vuole perdere ama;
e salvaguardato è solo il privato.
Un’antenna balugina lontana.
Cosa fu allora per anni cercato?
L’estremo sperone d’ideologia,
un presidio che fosse preservato
dalle cose. Ma diranno stantia
questa piccola inutile illusione;
la chiameranno una mitologia.
Poi la nostalgia una conclusione
suppone. Per me inizio non ci fu.
Si arriva sempre tardi all’occasione,
si nasce sempre dopo, quando più
non vibra la consonanza con l’epoca.
Non là si colloca la gioventù
mia, bensì già nell’oltre-sovietico;
qui seguo le forme del calciatore
fluire forti sul verde sintetico.
Le finestre delle case un bagliore
mandano che non è di focolare,
ma l’immagine d’un azzurro airone
racchiuso nel volo. Ed oltre un canale
il film, il quiz, la domanda al presidente
col microfono, cosìˇattoriale,
e le luci che fanno espressamente
lo spettacolo della politica.
E la vita è un palinsesto presente.
Il pegno per un’illusione mitica
quasi sono dunque nuove illusioni?
Ho di fronte a me la vita eremitica:
non discariche di televisioni,
ma selve accese, parlanti, affollate.
Spente sono, in me solo, le passioni.
Federico Spagna
L’illustrazione è Ritratto di Berlusconi (1989), di Deanna Milvia Frosini.