Mercificazione o altruismo? Quello della maternità surrogata è un tema assai controverso. Il dibattito in Italia è tuttora aperto e, come di consuetudine, ha visto il governo scindersi in favore di opinioni contrastanti. Se da un lato infatti si preme per rafforzarne il divieto, dall’altro la si difende strenuamente. La cosiddetta “gestazione per altri” o “GPA” è una forma di procreazione assistita, in cui una donna mette a disposizione il proprio utero per ospitare l’embrione di un’altra coppia, impossibilitata ad affrontare la gravidanza. Essa si distingue in “retributiva”, dunque che prevede la remunerazione della gestante, e “solidale” o “altruistica”, in cui la gestante offre il proprio grembo di sua sponte, senza denaro in cambio. Una parte del femminismo condanna fermamente qualsiasi forma di maternità surrogata, in quanto la ritiene uno sfruttamento innaturale del corpo femminile; un’altra invece è favorevole, ma soltanto alla forma “altruistica”, poiché ne riconosce la virtuosità.
Tra i suoi numerosi benefici, per esempio, la GPA possiede anche quello di donare alle coppie omogenitoriali un’opportunità in più, oltre chiaramente l’adozione. A mio parere è lecito biasimare la forma retributiva, ma ritengo scorretto considerare anche la forma solidale un reato e altrettanto improprio definirla attraverso espressioni poco eleganti e ancor meno positive come “utero in affitto”. Difatti questa locuzione mira a puntualizzare il presunto sfruttamento del corpo femminile, ma molti ottusamente non percepiscono che la vera origine della sua mercificazione sia la retribuzione. Spesso infatti alcune donne, spinte dalle condizioni economiche sfavorevoli, non hanno altra scelta che “vendere” il proprio utero. Inoltre la GPA altruistica è perlopiù vista come un’ipocrisia e dunque come una copertura a quella che la sociologa Daniela Danna erroneamente definisce “compravendita di neonati su commissione”.
Ai miei occhi non si tratta di un mercato, dove il bambino rappresenta il prodotto esportato e pronto ad essere consegnato a terzi, e il corpo della donna non è sfruttato ma si fa ospite di vita e speranza. Pertanto ritengo che il divieto della surrogazione altruistica sia contestabile non solo dal punto di vista legale, ma soprattutto dal punto di vista etico, e mi chiedo: perché vietare la tanto dibattuta libertà di scelta? In Italia la pratica è vietata dall’articolo 12 della legge n.40, che dichiara che «chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600 mila a un milione di euro». Tuttavia resta ignoto il destino di coloro che ne hanno fatto ricorso in Paesi in cui essa è consentita. La Corte di cassazione al riguardo ha ribadito la sua volontà di abolire la trascrizione automatica degli attestati stranieri della GPA. Da ciò sono scaturite nuove problematiche – che non hanno fatto altro che disincentivare il ricorso all’estero – circa il riconoscimento dei bambini al ritorno in Italia. Per di più ultimamente la Camera del governo italiano ha espresso il desiderio di trasformare la maternità surrogata in un “reato universale”, vale a dire un crimine così grave da dover essere represso ovunque esso sia stato commesso.
Un’altra delle principali fonti di controversia è la diffusa abitudine di riconoscere come madre unicamente colei che porta in grembo e partorisce il bambino. Va da sé che chi la pensa a questo modo consideri la maternità surrogata sia una privazione del legame tra neonato e partoriente sia una negazione di maternità alla stessa. Allora occorre chiedersi se il criterio della gestazione prevalga su quello genetico. A mio avviso, in tal caso, non si dovrebbe considerare madre la madre legale, come suggerisce la legge, ma quella biologica. D’altronde l’una ha “solo” ospitato il feto, mentre l’altra lo ha effettivamente creato.
A cura di Vittoria Baiocchi
The controversy surrounding the recognition of the legal mother, who carries and gives birth, versus the biological mother adds another layer to the discourse. The piece prompts readers to reconsider whether gestation should override genetics in defining motherhood. Overall, it presents a thought-provoking stance on surrogacy, advocating for nuanced perspectives and questioning the rigid legal framework in place.
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