Esistono valori che dovrebbero prescindere dal colore politico ed essere propri di ogni partito che si voglia inserire nel solco della Costituzione. Il primo tra questi è indubbiamente l’antifascismo, il quale, non patrimonio dell’una o dell’altra fazione, dovrebbe essere sciolto da una dimensione di dibattito per divenire premessa fondante di ogni discorso politico. La definizione stessa di antifascismo, tuttavia, è problema vasto e annoso, ben lungi dal risolversi in brevi termini. E qui l’aspra contesa tra chi reputa il fascismo un fenomeno circoscritto ad un determinato periodo storico, denotando non poca ottusità, e chi, invece, lo lega ad un insieme di ideali improntati a violenza e intolleranza, che, pur mutati nella forma, continuano a riproporsi nella sostanza. Secondo i primi, ed è evidente, il pericolo fascista è pressoché inesistente (non dovrebbero sorprendere, in quest’ottica, le parole dei vari Valditara del caso). Potremmo definirli, appropriandoci di un conio non nostro, afascisti, in quanto né fascisti, poiché comunque inseriti all’interno di un contesto democratico, né propriamente antifascisti. L’afascismo, tuttavia, fallimentare tentativo di alcuni esponenti politici di celare una palese difficoltà a fare i conti col proprio passato e, forse, anche con parte del proprio elettorato, non è sufficiente.
“Non basta essere afascisti. La nostra Costituzione è antifascista, in particolar modo la Dodicesima disposizione finale transitoria che vieta la ricostituzione del disciolto partito fascista in qualsiasi forma è la firma dei nostri padri costituenti all’antifascismo della Carta.”, ci dice Emanuele Fiano, ex deputato del PD schierato in prima linea nella lotta al fascismo in ogni sua espressione, e nei medesimi termini si pronuncia con noi anche Laura Boldrini, deputata Dem presidente della Camera dei Deputati dal 2013 al 2018. Lo stesso Fiano ci tiene a precisare: “Nessuno di noi antifascisti crede che in questo momento in Italia ci sia il rischio che domani mattina ritorni il Duce risorgendo dalla tomba o che ritorni un Partito Nazionale Fascista la Storia non si ripete uguale, ma ci sono altri possibili rischi. La democrazia liberale nella quale, per fortuna, viviamo ci è stata donata da chi ha fatto la Resistenza, da chi ha scritto la Costituzione, dagli alleati che hanno liberato questo paese, ma la democrazia non è per sempre”.
L’antifascismo, quindi, non sarebbe un concetto astratto ma un qualcosa di ben vivido e concreto che si riflette tanto nelle parole quanto nelle azioni e nelle scelte governative. “La mancanza di rispetto per i diritti umani e le politiche sull’immigrazione portate avanti da questo governo richiamano la violenza fascista. Sono allo stesso modo inaccettabili la gestione dei salvataggi della guardia costiera e quella della scuola pubblica. È necessario, poi, condannare gli atti legati alla violenza fascista. L’indifferenza è la peggior cosa che possa esistere, è l’embrione delle politiche fasciste. Il silenzio di questo governo sul pestaggio del 18 febbraio è un bruttissimo segnale”, dichiara il leader dei Verdi Angelo Bonelli al MichePost, riferendosi non solo all’agghiacciante dichiarazione di Valditara in merito alla circolare della preside Savino, ma anche, e soprattutto, alle disumane parole del ministro dell’Interno Piantedosi in relazione a quanto accaduto a Cutro. Ci troviamo, insomma, innanzi a nuove frontiere del fascismo. “La storia si ripete, ma chiaramente non negli stessi termini. È importante, quindi, che ogni generazione organizzi, in forme sempre nuove, la propria Resistenza”, asserisce Marco Damilano, direttore della rivista L’Espresso, in risposta alle nostre domande.
Fissati questi presupposti, la situazione, tuttavia, si rivela ben più complessa di quanto sembrerebbe. Se si accetta, infatti, in maniera assolutamente legittima ed anzi giusta, che l’antifascismo si rifletta in un insieme di valori e non si limiti ad una più o meno ferma condanna di quanto accaduto nel Ventennio, si corre inevitabilmente il rischio di rendere un qualcosa che di per sé dovrebbe essere super partes connotato politicamente. Eppure l’importanza di tradurre negli atti il patrimonio ideologico su cui si fonda il discorso legittimante stesso del nostro Paese è cruciale.
A questo punto ci troviamo innanzi a un dilemma: ci sono posizioni, pur costituzionalmente legittime, che dal punto di vista dell’antifascismo concepito in questi termini non risultano tali? E ancora, fino a dove può spingersi l’antifascismo prima di diventare a sua volta oppressivo e violento? Dal momento in cui, citando il presidente Pertini, “il fascismo non è un’opinione, è un reato”, è indubbio che lo Stato debba perseguire un modello antifascista non solo su piano ideale ma anche pratico, non negando la sacrosanta libertà di opinione, ma, proprio al fine di tutelarla, assumendo su di sé il gravoso compito di limitare l’agibilità politica di coloro i quali portino avanti ideologie deliberatamente in contrasto con la Costituzione.
Il vero problema risiede, tuttavia, proprio nella definizione di fascismo e, conseguenzialmente, di antifascismo: una questione a dir poco determinante che infuoca il dibattito politico contemporaneo. È infatti per la definizione di un concetto che passa la sua messa in pratica. Occorre pertanto interrogarsi a proposito di ciò affinché l’esperienza delle scorse settimane non cada nel vuoto, ma sia l’inizio di una riflessione di più ampio respiro, dimostrando, insomma, che non sia stato fatto molto rumore per nulla.
A cura di Niccolò Generoso e Alessia Prunecchi