41-bis: la vendetta di uno Stato che non capisce cosa sia la prevenzione

Assistendo ai dibattiti che si sono tenuti fino ad ora sul 41-bis ho notato un punto che accomuna le argomentazioni contro l’abrogazione di tale articolo. Alberto Balboni (Fratelli d’Italia) definisce il 41-bis come “uno strumento indispensabile per la lotta alla mafia” e poi afferma, rivolgendosi alla sinistra: “noi stiamo con le vittime dei reati, noi stiamo con la gente per bene, noi stiamo con la legalità”. Roberto Scarpinato (Movimento 5 Stelle) dice: “La legge che introdusse il 41-bis è sporca di sangue”, sangue “versato dai giudici Falcone e Borsellino e dalle loro scorte […] fu una vittoria dello Stato”. E poi abbiamo Giovanni Donzelli (Fratelli d’Italia): “Io voglio sapere se la sinistra sta dalla parte dello Stato o della mafia”. C’è un’ostinazione a ricordare i crimini e le atrocità commessi dai detenuti, continuando a criminalizzare coloro che sono contro questo sistema carcerario, accusandoli, appunto, di essere “dalla parte dei mafiosi”. 

Il 41-bis nasce nel 1986 con la legge Gozzini e permetteva al ministro della Giustizia di sospendere temporaneamente e in casi eccezionali o di emergenza le norme di trattamento dei detenuti. Poi nel 1992, dopo la strage di Capaci, un trauma collettivo che ha sconvolto la nazione, viene modificato con la legge Martelli-Scotti e diventa una pena volta alla detenzione dei mafiosi. Nel 2002 la norma del “carcere duro” è definitiva ed estesa anche ai reati di terrorismo. 

Quando contestiamo il sistema del 41-bis, non stiamo certo difendendo i detenuti dalle accuse per i crimini commessi, bensì stiamo denunciando la violazione dei diritti umani che la pena a loro riservata rappresenta. Pena criticata anche dal comitato ONU contro la tortura. Isolamento, un’ora d’aria al giorno (non sempre concessa), contatti con l’esterno ridotti quasi a zero, sorveglianza 24 ore su 24 tramite telecamere e agenti speciali, un letto, un tavolo e una sedia: ecco cosa è concesso ad un detenuto al 41-bis. Non stiamo parlando di chi sono, cosa hanno fatto o cosa potrebbero fare, ma cosa siamo noi, che stiamo dando a loro ciò che gli rimproveriamo: tortura e morte. 

Questa non è prevenzione, non è lotta alla mafia, ma vendetta. La vendetta di uno Stato che non capisce nemmeno cosa sia la prevenzione. Perché non è condannando un mafioso a una vita miserabile che preveniamo la morte che ha già seminato. Il 41-bis è un sistema di consolazione per uno Stato che sta fallendo nella lotta alla mafia e che ha bisogno di convincersi che sta migliorando qualcosa. E questo lo fa privando una persona della sua umanità.

A cura di Emma Gargini

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