Ogni guerra ha una sua narrazione. Anche questa tra Russia e Ucraina ne ha una, e basta accendere il cellulare o la televisione per rendersene conto. I social media ci espongono a una continua inflazione di immagini: città distrutte, bunker affollati, profughi disperati. E poi gli interventi patriottici del presidente Zelensky con dirette Instagram o collegamenti Zoom in tutto il mondo.
Queste immagini hanno avuto un impatto così penetrante da generare un movimento collettivo di solidarietà, tra pullmini che viaggiano fino al confine ucraino per mettere in salvo donne e bambini, le manifestazioni di pace, le raccolte di cibo e vestiti che si stanno facendo un po’ ovunque, tanto che alcune si sono fermate per aver ricevuto fin troppe adesioni.
La narrazione, in questo caso, si è concentrata sugli alleati dell’Occidente, gli ucraini, in maniera intensiva. La narrazione della guerra, che oggi non si fa più coi giornali e con le radio, ma con le immagini sui social, ci ha abituato alla sofferenza dei civili ucraini. C’è quasi una familiarità di routine con le immagini di devastazione che si rinnovano ogni giorno, e che puntualmente ritroviamo nella nostra home di YouTube, o di Instagram, o su qualche chat di WhatsApp.
Se cerco invece sulla barra di Google “come stanno vivendo i russi”, non ricevo molte risposte. Dai media italiani, quasi nessuna. Giusto due articoli, praticamente uguali, di Repubblica e di iO Donna. E se cambio l’oggetto della ricerca in “situazione russa”, o “situazione in Russia”, vengo spedito in Ucraina.
Comprensibile, si direbbe. Molti civili ucraini hanno perso la vita, altrettanti stanno lasciando il proprio paese. I civili russi no. Sembrerebbe una spiegazione ragionevole del diverso peso che si dà alla situazione degli ucraini e a quella dei russi. Ma, implicitamente, si sta facendo una gerarchizzazione del dolore e degli effetti della guerra sulle popolazioni civili: fa parte della narrazione. Io, utente italiano, per informarmi di come i civili russi stiano vivendo una guerra che, in gran parte, non hanno voluto, devo rivolgermi a media stranieri come la BBC o il Guardian, o saltuariamente a qualche notiziario nostrano che riporta di manifestanti russi arrestati (le stime più recenti li attestano oltre i 7000), e di condanne fino a 15 anni per chiunque faccia riferimento alla guerra in Ucraina come “invasione”, oppure ricordi che ci sono “morti civili”.
Accanto alla tragedia che sta vivendo il popolo ucraino, ricordiamoci anche della situazione dei civili russi. Non solo per uscire dalla logica della narrazione – che ha addirittura colpito Fëdor Dostoevskij – per cui la Russia e chi ci abita sono il male. Interessarsi alle sorti dei civili russi non vuol dire sostenere Putin. Anzi, se si indaga il clima interno alla Russia, si scopre proprio che l’equazione Putin-Russia non sussiste.
Di fatto, la popolazione russa è stata ostracizzata dal pianeta Terra, e ora vive su un pianeta-Russia dove i carceri si riempiono di dissidenti, dove internet non funziona più, dove grandi catene hanno chiuso i loro punti vendita, dove non sono più reperibili i prodotti di prima necessità dall’Occidente, dove i bancomat hanno finito i soldi perché presi d’assalto dai clienti disperati, dove l’ombra della legge marziale (che chiuderebbe definitivamente i confini tra la Russia e il resto del mondo) spinge migliaia di cittadini russi ad ammassarsi, a piedi o in macchina, sul confine con la Finlandia per lasciare il Paese. Anche i russi, quindi, se ne vanno. Certo, non è un esodo come quello degli ucraini. Ma è lo stesso un’invivibilità che costringe alla fuga.
E tutto questo per colpa di un solo capo di stato e di una ristretta oligarchia. Il potere russo, storicamente, è sempre stato esercitato da uno o da pochi su una massa enorme di persone, presa come collettività e non come un insieme di individui. Concepire l’identità russa come collettiva e non individuale, ontologicamente diversa dalle altre etnie, è una delle basi filosofiche e ideologiche dell’operato di Putin. Infatti, quando l’individualità si manifesta, opponendosi al conflitto in corso, viene repressa, per garantire l’omogeneità del pensiero e dell’ “essenza russa” che accomuna e tiene uniti i russi rispetto al resto del mondo (a tal proposito, consiglio un interessante confronto tra Bernard Henry-Lévy e Aleksandr Dugin, il cosiddetto “ideologo di Putin”, che ben inquadra l’ideologia antiliberale, nazionalista e razzista da cui proviene Putin).
Rendersi conto di tutto questo è rendersi conto che la lotta a Putin e al suo autoritarismo imperialistico può partire proprio dall’interno della Russia. Un sondaggio dell’istituto indipendente russo Levada riporta che solo il 45 % della popolazione russa era d’accordo con le manovre militari al confine con l’Ucraina (questo, prima dell’invasione), e non il 70 % diffuso dal Cremlino. Sempre Levada rilascia questo interessante grafico.
Poco meno della metà dei russi è bene informata, o crede di esserlo, rispetto alla guerra in Ucraina. Questo ci dice molto della quantità, e della qualità, di notizie e di informazioni che il governo di Putin lascia trapelare nel Paese. Tanto più ora che sul suolo russo non solo non funzionano più Facebook, Twitter e Instagram, ma persino internet è stato disconnesso. Nel blocco occidentale, invece, l’afflusso di informazioni è massiccio e continuo: anche se parzialmente, sapremo sempre di più di questo conflitto rispetto a un russo medio. Nonostante la guerra in Ucraina non ci coinvolga direttamente, per ora. Ma se l’informazione in Russia potesse circolare più liberamente, forse il dissenso nei confronti di Putin crescerebbe ulteriormente.
Superare la narrazione che si è fatto finora significa anche constatare che il sostegno dell’Occidente, e dell’Italia, all’Ucraina è, come ogni sostegno in ambito bellico, un sostegno frutto del compromesso. Perché a volere analizzare quanto successo nel Donbass dal 2014, non sempre l’Occidente – in Ucraina rappresentato dai movimenti pro-Kiev – si è mostrato conforme ai valori che propugna in opposizione a Putin (sì perché l’opposizione è essenzialmente contro una persona e il modello politico che incarna). La domanda, adesso, è questa: sosteniamo Kiev nonostante la strage di Odessa, sosteniamo Kiev nonostante le milizie neo-naziste che stanno combattendo contro le truppe russe? Sì, per la stessa logica per cui non contestiamo l’importanza delle Forze Alleate e della lotta partigiana nella liberazione dell’Italia dal nazifascismo, nonostante le “marocchinate”, nonostante le ritorsioni e le vendette, all’indomani della Liberazione, contro chi aveva sostenuto il regime. Sono tutti eventi particolari, in entrambi i casi. In un conflitto, qualunque parte si prenda, è inevitabile stare a fianco di chi commette dei crimini. Ma questo non può compromettere la scelta dello schieramento. La neutralità è un lusso che attualmente l’Occidente non può concedersi. Ci si schiera con l’Ucraina e coi russi dissidenti perché l’alternativa è l’autoritarismo di Putin.
A cura di Federico Spagna