Questo articolo fa parte del numero 26 del MichePost, uscito in formato cartaceo il 10 dicembre 2021
Quell’isola desolata, teatro dei più disparati accadimenti, rigogliosa prigione… Memore di fatti ormai sottratti al ricordo dell’uomo, di passati, presenti e futuri che sembrano vorticare nell’oblio del tempo per fondersi fra loro. Probabilmente è questa la visione che un essere immortale, quale una divinità al di sopra delle fragili capacità umane, ha del trascorrere del lento fiume della vita, concetto che non sembra tangerlo minimamente, a meno che la solitudine della reclusione non si faccia dirompente nel suo animo. E l’unico modo per sfuggire ai propri pensieri sembra essere il contatto umano, che porta con sé racconti provenienti da luoghi remoti, una scintilla nella monotonia quotidiana. Ma l’essere umano è pur sempre soggetto al trascorrere degli anni, alla sentenza delle Moire. Avvizzisce e viene condotto alle porte dell’Ade, creando un nuovo vuoto, il quale può essere riempito solo occupando la mente, piegando le membra alla fatica della concentrazione, tra erbe, profumi e parole dettate dal cuore. La magia. E questa sembra quasi fuggire dalle pagine chiare e avviluppare il lettore che le sue lusinghe, per poi portarlo indietro nel tempo, all’antica Grecia, su quella spiaggia in cui molte navi approdarono, molte altre partirono, sotto lo sguardo giallo che tutto vede, sotto la potenza di Circe sovrana, tremenda dea dalla parola umana, colei che piega al proprio volere la realtà, incantatrice di uomini.
A cura di Rosa Augusta Sperduti Rampini