Barche a vela, silenziose testimoni di secoli di storia

 Questo articolo fa parte del numero 26 del MichePost, uscito in formato cartaceo il 10 dicembre 2021


Una volta l’anno, il mare attorno Viareggio, circondato dalle marmoree Apuane, fa da cornice ad un evento importantissimo per gli amanti della “vela d’epoca”: il “raduno delle Vele Storiche di Viareggio”. Un fine settimana in cui centenari natanti d’epoca, rigorosamente in legno, fanno sfoggio della loro bellezza partecipando a tre regate diverse.

Le Vele Storiche di Viareggio è un’associazione fondata l’8 ottobre del 2005, con lo scopo di “valorizzare e promuovere lo spirito e la tradizione dello yachting d’epoca” esaltandone l’importanza storica e culturale. L’obiettivo principale è il recupero e la salvaguardia degli yacht tramite la divulgazione e l’organizzazione di eventi che donino visibilità a quel tipo di imbarcazione. Non è forse vero che si sopravvive all’oblio solo attraverso la memoria e la conoscenza?

Parliamo di barche, dunque, dal grandissimo valore culturale, in quanto silenziose testimoni di secoli di storia, di avventure e peripezie varie. Si tratta di natanti dalle forme eleganti e sinuose, con linee slanciate, morbide e dislocanti, decisamente diverse dalle anonime barche moderne costruite interamente in plastica ed alluminio.

È una, però, la barca di cui leggerete la storia in queste righe. Si tratta di “Barbara”, meraviglioso legno del 1923, armonioso e affascinante, fiero e aggraziato nel suo andamento.

Ma qual è la sua storia?

Singolare armo a vele triangolari e mezzana, Barbara fu costruita nel 1923 nel cantiere londinese Camper & Nicholsons per un assicuratore della Royal Exchange. Successivamente fu acquistata da un velista di nome Harold Francis Edwards, anch’egli londinese, per poi passare nelle mani del barone Amaury de la Grange, importante personaggio politico della Francia di inizio XX secolo.

In quegli stessi anni la nostra elegante “signora dei mari” si trovò a dover affrontare un’impetuosa burrasca mentre navigava da un piccolo villaggio inglese della contea dell’Hampshire, Bursledon, diretta ad Havre, città francese situata sulla riva destra dell’estuario della Senna. Si trattava di un venerdì sera, come riportato dalla stampa.

I venti si fecero impetuosi e il mare cominciò a gonfiarsi. Barbara fu costretta ad ancorarsi in un’isoletta nella Manica a sud di Southampton, poiché la tempesta non intendeva placarsi, anzi, continuava ad aumentare. Il comandante decise allora di gettare una seconda ancora. Nonostante ciò, la barca “arava”, veniva cioè trascinata con forza dal vento verso le spiagge. Fu in quel momento che il capitano dette l’ordine di chiamare i soccorsi.

L’equipaggio a bordo era composto da sole tre persone: bastò la loro esperienza ed il loro coraggio per portare in salvo l’armo. Infatti anche se giunse l’imbarcazione di salvataggio, i velisti non ebbero bisogno di alcun aiuto.

Nel 1982 fu la barca d’appoggio al Guinnes dei primati per l’attraversamento dell’Oceano Atlantico in 24 giorni di windsurf, impresa che riuscì a portare a termine trionfalmente. Fu quello, però, il suo canto del cigno. Da quel momento in poi, infatti, per Barbara ebbero inizio anni bui.

L’imbarcazione fu portata a Malaga in pessime condizioni e lì rimase, abbandonata, in un cantiere, privata della vita e del caloroso abbraccio del mare. Il suo mare.

Visse in quelle condizioni per 16 anni, racchiusa tra attrezzature metalliche e capannoni squallidi, dimenticata come si fa con un vecchio giocattolo. Poi, un bagliore di speranza, una luce infondo al tunnel: Barbara riuscì a riempire un cuore, a farlo battere forte, nonostante il suo stato, la sua decadenza. Nonostante un ponte da ricostruire e un boma spezzato. Un uomo, infatti, vide in lei ciò che nessun altro era riuscito a vedere, comprendendone appieno la bellezza, l’eleganza e le potenzialità. Quell’uomo seppe guardare oltre l’apparenza: decise di riportarla in vita e la acquistò.

Nel 2014 fu deciso il suo trasferimento a Viareggio, presso il cantiere navale Francesco Del Carlo dove, facendo riferimento a disegni originali della barca del 1923, un team di esperti, riportò Barbara alla sua antica bellezza.

Ci vollero quattro anni di lavoro e molte maestranze per completare il restauro filologico della “signora dei mari”. Fu così che si giunse al 2018. Proprio in quell’anno, infatti, avvenne la cerimonia per eccellenza, l’evento che ridonò a Barbara quel soffio vitale a lungo trattenuto: il varo. Il nuovo varo.

Ma come mai è così importante il varo per una barca? Immaginate la nascita di un bambino, la gioia, l’emozione per quanto avvenuto, le speranze per il futuro, la vita che cambia. Questa nascita viene celebrata, per i credenti, con il battesimo. Ora, tutto ciò avviene anche per una barca: l’unica differenza è che la cerimonia avviene il giorno stesso in cui la nave sprigiona il suo primo respiro, in cui sfiora, non senza emozione, il mare, la sostanza che la manterrà in vita e la proteggerà accompagnandola sempre. Durante la cerimonia viene rotta una bottiglia di champagne sulla prua della barca, nel caso di Barbara, sul bompresso. Secondo antiche credenze tale gesto porterà fortuna solo nel caso in cui la bottiglia si romperà al primo colpo.

È di buon auspicio anche la presenza di molte persone, in quanto maggiore sarà il chiasso degli applausi tanto più facile sarà, per le divinità del mare, udirne il frastuono, così che Nettuno, Anfitride sua sposa e regina del mare calmo, le Nereidi e le Naiadi accolgano la barca, riconoscendola come loro figlia ed amica, abbracciandola e custodendola per i mari di tutto il mondo.

A cura di Diletta Zaccagni

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