Può darsi che mi sbagli, ma siamo animali sociali, no? Certo, siamo anche un po’ individualisti, è normale, naturale e giusto, ma siamo soprattutto organi di un unico sistema, che esistono e trovano la loro ragione d’esistere nella coesistenza con gli altri, e nella conseguente necessità a stabilire compromessi, con questi altri. Tessere rapporti e vivere nel mondo in modo sano significa questo, alla fin fine: far convergere, nel miglior modo possibile e nel limite delle possibilità, i propri interessi, attitudini, scopi e propositi con gli interessi, attitudini, scopi e propositi di chi ci sta intorno. Siamo liberi, diceva John Locke, nella misura in cui la nostra libertà non invade quella degli altri. Se la invadiamo, siamo degli stronzi.
A livello puramente teorico, siamo liberi di fare quello che ci pare, con nessun limite, ma con la consapevolezza di dover dar conto delle nostre azioni davanti ai confini imposti dalla legge, dalla morale, dal rispetto, dalla responsabilità: in generale, dagli accordi fondamentali su cui si basa la costruzione della società. Siamo noi, e solo noi, guidati da una naturale inclinazione a sostenerci e a interagire l’uno con l’altro, ad aver stipulato quegli accordi, quel pactum unionis che fonda le radici dello Stato.
Certo, è ovvio, gli accordi possono essere ingiusti, o sbagliati, o entrambe le cose, più volte lo sono stati, più volte si è cercato di correggerli, di adeguarli allo sviluppo e ai cambiamenti della storia. Ma oggi, finalmente, possiamo dirci più o meno soddisfatti, almeno nella gran parte delle democrazie liberali occidentali, delle mura portanti che sorreggono l’edificio sociale: la democrazia, la solidarietà, l’uguaglianza di fronte alla legge, la libertà di pensiero e di parola. E possiamo anche essere d’accordo sul fatto che, se le abbattiamo, quelle mura, l’edificio crolla. Non è forse da stronzi farlo crollare, o anche solo tentare di farlo crollare, infrangendo il patto su cui si regge lo Stato e i rapporti col prossimo?
Bene.
Nell’ultimo anno e mezzo il mondo è stato colpito da un virus che, stando ai dati ufficiali, ha infettato 175 milioni di persone e ne ha uccise 3,8 milioni; che ha un tasso di mortalità estremamente basso nella popolazione fino ai cinquant’anni, ma che raggiunge il 10% nei settantenni, il 20% negli ottantenni, il 28% nei novantenni; che ha compromesso i sistemi sanitari praticamente di tutto il mondo, mettendone a dura prova le capacità; che ha causato un disastro economico: una recessione globale che non si vedeva dai tempi della Grande Depressione degli anni ’30; che ha impattato in maniera notevole e talvolta problematica sulla psicologia delle persone.
La nostra unica arma, quasi invincibile, contro le quarantene e tutti i tragici effetti sanitari, economici, sociali e psicologici che ne derivano, è il vaccino. L’unica. Gli ultimi dati, per quanto riguarda l’Italia, pubblicati dall’Istituto Superiore di Sanità, ci dicono che con i vaccini il rischio di decesso cala del 95%, quello di essere ricoverati del 90%, quello di essere contagiati dell’80%. Se il virus, quindi, grazie ai vaccini, circola meno (e siamo soprattutto noi giovani, a farlo circolare), significa che si svilupperanno meno varianti, limitando di fatto le possibilità che i più fragili si ammalino o addirittura muoiano, e in generale contribuendo a sradicare questa bestia dalle nostre vite.
Non vaccinarsi, per menefreghismo, per disattenzione, per la convinzione che non serva dal momento che i più suscettibili sono già protetti, o addirittura per strane e incredibili teorie complottiste, vuol dire infrangere il patto di solidarietà cui ci atteniamo ogni giorno per vivere nella nostra società, minandone la stabilità e la sicurezza; vuol dire mancare agli obblighi civici e morali che ci definiscono cittadini d’uno stato liberaldemocratico. Vaccinarsi, oltre agli aspetti sanitari, è un gesto politico, un atto di adesione ai princìpi fondanti del pactum unionis.
Puoi scegliere di non farlo, certo. Ma sappi che sei uno stronzo.
A cura di Luca Parisi