Era il 1920 quando, in una casa di Londra, nacque Rosalind Franklin. Era, invece, il 1935 quando la stessa, ormai cresciuta, seppe di voler diventare una scienziata. Lottando contro la disapprovazione del padre, ma aiutata dagli altri membri femminili della sua famiglia, la ragazza frequentò l’università e ottenne un dottorato in chimica fisica. In seguito, trasferitasi a Parigi, si specializzò nella cristallografia a raggi x, uno strumento usato per fornire informazioni sulla struttura delle molecole. Una volta tornata nel Regno Unito, la ricercatrice si impiegò al King’s college di Londra. Lì, purtroppo, non trovò l’ambiente che si aspettava: gli altri studiosi che vi lavoravano si rivelarono, infatti, misogini e bigotti. I suoi collegi, per fare solo un esempio, usavano chiamarla “bisbetica” e “gelosa del suo lavoro” ed erano molto risentiti del fatto che lei non condividesse i propri risultati con loro. Nonostante il maschilismo e i limiti imposti dalla società, Rosalind riuscì a scattare alcune foto di singoli filamenti del DNA. Risolse così l’interrogativo che agitava il mondo scientifico da decenni: qual è la forma della “molecola della vita”? Dopo l’esperienza al King’s college, conclusa presto per la discriminazione subita, la donna si trasferì al Birkbeck college, dove si interessò a vari virus e alla molecola del RNA. Sfortunatamente, Rosalind morì di cancro ovarico, probabilmente sviluppatosi per i raggi x con cui la scienziata lavorava regolarmente, a soli 37 anni.
Dunque, se Rosalind Franklin ha compiuto una scoperta così importante, perché generalmente non è ricordata sui libri di scienze? La risposta più superficiale equivale a tre nomi di ricercatori suoi colleghi: James Watson, Francis Crick e Maurice Wilkins. I tre, infatti, studiarono senza il suo permesso le foto che aveva scattato. Questa violazione ebbe un ruolo fondamentale nella scoperta della doppia elica da parte dei tre già citati (scoperta che, come scritto prima, era stata in realtà compiuta dalla Franklin). Il mondo scientifico, però, non ha avuto modo di sapere della “contribuzione” della donna per molti anni: nel frattempo, Watson, Crick e Wilkins hanno vinto il Premio Nobel per la Medicina e Franklin è morta, sconosciuta alla maggior parte del genere umano. Scrivendo ciò non intendo sminuire la brillantezza dei tre ricercatori, ma solo mostrare che tale qualità apparteneva anche a una studiosa la quale, al contrario dei suoi colleghi maschi, non ha ricevuto gli onori e i ringraziamenti che il mondo intero le deve.
Esiste, però, anche un motivo più profondo che spiega la sfortunata storia di Rosalind: la discriminazione che le donne hanno sempre subito nella scienza. Mi sembra paradossale quanto in campi logici e razionali come quelli della STEM (Science Technology Engineering and Mathematics, cioè Scienza Tecnologia Ingegneria e Matematica) possa vigere una disparità di genere così radicata, di cui la Franklin è solo uno dei numerosissimi esempi. In passato, risultava difficile o impossibile per le donne perfino accedere all’università ed era impensabile che una ragazza facesse carriera in un qualunque campo. Ciò ha generato una penuria di modelli a cui ispirarsi, di studiose e lavoratrici che potessero rivelare la propria abilità a tutti (ma soprattutto alle bambine e alle giovani che provavano il desiderio di studiare discipline scientifiche). Pochi decenni fa succedeva tutto questo; ora la situazione non è molto migliorata. Sempre più studentesse frequentano università di materie STEM, ma poi la maggior parte non continua il percorso: in breve, restano poche le donne che lavorano in quei campi. Questo fenomeno viene definito con la potente metafora “leaky pipeline (tubo che perde)”: la società, lasciando indietro così tante ricercatrici e inventrici, lascia indietro anche la possibilità di un progresso più veloce, efficiente e aperto a tutti. Le menti delle donne posseggono la stessa abilità di quelle degli uomini di risolvere problemi e creare nuove soluzioni. L’abbandono femminile è dovuto solamente a motivi culturali ed educativi: apparentemente, alcuni non si trovano a proprio agio sapendo che le donne sono esseri intelligenti capaci di cambiare il mondo. La loro comodità non deve fermare, spaventare, importare a nessuna giovane che sente dentro di sé l’amore per la scienza: il progresso del genere umano è troppo importante perché venga frenato dalla paura e dalla chiusura mentale. Una comunità scientifica più equa riflette una società più equa. Raggiungere la parità dovrebbe rappresentare un obiettivo fondamentale per ogni individuo che abita questo pianeta. E, come diceva Rosalind Franklin, “la scienza e la vita di tutti i giorni non possono e non devono essere separate”: combattere per l’uguaglianza di genere nella STEM significa combattere per i diritti di tutte le donne, cis o trans, bianche o di qualunque altro colore, casalinghe, letterate o scienziate.
A cura di Elisa Salvadori