La mattina del 23 ottobre 2016 ci restituisce la Motogp che ci piace: quella delle storie umane. Infatti, il gran premio d’Australia è forse la massima espressione del motociclismo vero e sincero che si era perso durante gran parte della stagione. Per chi non ha messo la sveglia nella notte italiana è forse il buongiorno più bello della trasferta di gare asiatiche; Marquez, fresco campione del mondo, esagera mentre è in testa in solitaria e cade sprecando l’occasione di un’altra vittoria dimostrandoci che quando riesce a liberarsi dall’ossessione del campionato è ancora il Marquez incapace di ragionare. Rossi, invece, ci dà prova ancora una volta della sua straordinaria capacità di chiudere la bocca ai catastrofisti. Se le qualifiche non erano andate bene e lo avevano costretto a partire in quindicesima posizione, in gara è andato tutto per il verso giusto: ha costruito una gara intelligente rimontando con calma e con velocità fino a concludere a podio, in seconda posizione. Per l’altro pilota Yamaha, Lorenzo, gira tutto storto; mai entrato veramente in gara, partendo dodicesimo rimedia un sesto posto che non fa altro che darci la conferma che a dispetto del muso lungo perennemente indossato ha un animo sensibile e delicato. Ma se riteniamo storie umane quelle di Marquez che torna a esagerare e quella di Rossi che gioca da pischello a trentasette anni, il premio per la storia umana va senza dubbio al vincitore della gara, Cal Crutchlow. Inglese, 31 anni, alla seconda vittoria in motogp si è definitivamente tolto di dosso quella fama da sfasciacarrozze che si era fatto agli occhi di tutti, perché seppur sia vero che la Honda lo ha attrezzato di una moto in grado di vincere, il merito per lo step mentale che gli ha permesso di arrivare primo va alla moglie, che lo ha “attrezzato di una figlia” rendendolo riflessivo senza perdere in velocità. Infatti quando si è trovato in testa ha gestito senza buttare via la grande occasione che gli era capitata fra le mani. Questo è il mattino delle storie umane e caso voglia che sia proprio nel quinto anniversario della morte di Marco Simoncelli, la storia umana più bella e più incompiuta di sempre.
A cura di Emanuele Giannini