Cari lettori, in questo periodo di reclusione casalinga, l’unico modo che abbiamo per spostarci, almeno con la mente, è attraverso i racconti, le immagini, i ricordi. Ed è attraverso i ricordi di un recente viaggio fatto con la mia famiglia che vorrei portarvi con me oltre oceano, in Vietnam.
Il nostro viaggio ha avuto inevitabilmente inizio con un aereo, che, dopo un volo di 12 ore e una tappa ad Hong Kong, ci ha portati a destinazione, nella città di Da Nang. Ad aspettarci fuori dall’aeroporto un caldo estraneo, per noi che arrivavamo reduci dal freddo invernale italiano, e un tassista gentile che ci ha accompagnati fino alla vicina città di Hoi An. Durante il viaggio i nostri occhi divorano ciò che ci circonda, tutto ci appare così surreale. Le strade sono percorse da un fiume in piena di motorini su cui viaggiano variabili numeri di persone, spesso accompagnate da montagne delle più improbabili merci; tutti sono bardati dalla testa ai piedi, nonostante il caldo; non sembrano esserci case, ma solo negozi stranissimi, totalmente aperti sul davanti e carichi di luci e insegne ridondanti. Arrivati ad Hoi An vaghiamo per la città, in cui si dirama un enorme mercato. La strada è il teatro della vita sociale: qui si lavora, si mangia, si gioca e viene fatto, appunto, il mercato. Le ceste con i prodotti sono appoggiati direttamente sul cemento e i venditori stanno accovacciati su minuscoli seggiolini al livello delle loro merci: l’effetto è quello di un tappeto coloratissimo, brulicante di umanità. I suoni di una lingua sconosciuta, lo scoppiettio dei motorini rimbombano senza tregua fuori e dentro di noi. Questo iniziale smarrimento, però, e fortunatamente, dura poco e, una volta immersi con spirito rinnovato in quello che, ai nostri occhi inesperti, sembra proprio un mondo nuovo, iniziamo a prendere coscienza dell’effettiva bellezza del posto. Alberi dall’aspetto esotico crescono rigogliosi ai margini delle vie polverose, abbellite da filari di lanterne colorate (simbolo della città) che fluttuano, sospese sopra le nostre teste. La vita risuona per le strade e si può percepire con tutti e cinque sensi. Quando scende il buio le mille lanterne colorate si accendono e decorano il fiume, che, tinto dei riflessi delle luce, crea un’atmosfera davvero magica.
Continuiamo a visitare Oi Han per qualche altro giorno e poi proseguiamo il nostro viaggio. La seconda tappa è Hue, la vecchia capitale. Ci appare imponente, severa, attraversata da un fiume muto e smisurato e da enormi viali trafficatissimi. È il primo taglio veramente crudo che abbiamo del Vietnam, a cui è sempre stato tolto tutto e che ha dovuto rimettere insieme i pezzi, senza avere i mezzi per farlo. Nonostante ciò la città risulta magnetica e intrigante per l’estraneità di cui pulsa ai nostri occhi e per la sua vita frenetica. La città, inoltre, custodisce un tesoro: all’interno di mura imponenti sono conservate la vecchia Città Imperiale e la Città Proibita, un piccolo angolo di paradiso immerso in un grandissimo giardino silenzioso, decorato da alberi dal tronco argentato e palazzi sontuosi, in totale contrasto con il brontolio rumoroso della città. Attorno a Hue visitiamo altri siti archeologici di tombe e pagode perfettamente conservati nel loro antico splendore, poi ci dirigiamo alla volta di Ho Chi Minh, l’odierna capitale. Ogni volta che cambiamo città è come ricominciare da capo, perché tutte, nella loro diversità, hanno qualcosa di destabilizzante. Spinti dalla curiosità però ci addentriamo nel groviglio di macchine e motorini, i veri padroni della strada. Visitiamo il Museo dei resti della guerra del Vietnam, un colpo duro da digerire: immagini strazianti raccontano una strage della cui effettiva crudeltà è difficile prendere coscienza. Una volta usciti, con il magone, continuiamo a visitare la capitale; tutto è così lontano da tutto ciò che conosco, ne rimango ammaliata. Le persone, comunque, restano il tratto più affascinante: sono tutti gentili, ma mantengono sempre un certo distacco verso noi turisti, sono impenetrabili. Vorrei poter parlar con loro così da potermi immergere completamente in questa cultura così diversa, ma la comunicazione risulta davvero difficile, non solo da un punto di vista prettamente linguistico (sono pochissimi a parlare un inglese comprensibile), ma anche a causa delle grossissime differenze del nostro corredo culturale, di espressioni e gestualità, che impediscono anche un tipo di comunicazione più primitiva.
Un giorno da Ho Chi Minh partiamo per fare una piccola gita sul delta del Mekong (l’enorme fiume che attraversa tutta l’Indocina). Visitiamo una piccola isoletta dove gli abitanti, immersi nella natura incontaminata, vivono di una pianta che produce cocco, che utilizzano per costruire i tetti delle loro case e per produrre caramelle e liquori, e, grazie allo sfruttamento di questa pianta e della pesca, riescono ad essere autosufficienti. Facciamo un giro stupendo del posto in bicicletta, all’ombra delle palme verdissime, attraverso le stradine sterrate costeggiate da piantagioni e allevamenti di gamberetti.
Tornati ad Oh Chi Minh, trascorriamo gli ultimi giorni ad esplorare, concludendo il nostro meraviglioso viaggio con una sosta al mare, per poi tornare, dopo dieci giorni pienissimi, in Italia.
Per me è stato davvero un viaggio illuminante, che ha aperto confini smisurati alla mia visione dell’umanità e delle sue diversità, un’esperienza profondamente segnante, che mi ha riempito di bellezza; spero che il mio racconto sia stato perlomeno un modo per distrarvi e immaginare un posto diverso dalle quattro mura di casa. Auguro a tutti di poter visitare, un giorno, il Vietnam con i propri occhi.
A cura di Giulia Battaglini