Alle elementari in classe mia c’era un bambino autistico, Edoardo. Io, che fosse autistico, l’ho capito solo dopo: nessuno ce l’aveva mai etichettato come “diverso” o “speciale”. Noi bambini sapevamo solo che aveva due maestre di sostegno, Giulia e Chiara, se mi ricordo bene, di cui, in realtà, usufruivamo tutti. Rammento che, durante una delle mie solite ricreazioni un po’ solitarie, ho letto la parola autismo su un raccoglitore di Giulia, o forse di Chiara, e qualche mese dopo in un titolo di giornale: nella mia infantile innocenza, ho creduto che avesse qualcosa a che fare con le macchine. Poi sono cresciuta e le mie idee hanno iniziato ad essere… ingarbugliate. C’era chi diceva che l’autismo fosse un morbo, un disastro, un ladro, e tutto ciò stonava con quello che avevo imparato alle elementari: sì, Edoardo era un po’strano, faceva disegni scuri e non aveva i nostri stessi libri, ma mi sorrideva spesso, giocava con gli altri bambini all’intervallo, e tutti gli volevano bene, tanto che anche la bulletta della classe lo aiutava e supportava. Per molto tempo quest’argomento è scomparso dalla mia mente, sostituito dai ben più importanti Harry Potter e Le cronache di Narnia. Passata (grazie al Cielo, aggiungerei) la fase di fangirl preadolescenziale, verso i quattordici anni ho ricominciato a pormi varie domande: che cos’è l’autismo, è diverso nei maschi e nelle femmine, quali sono le sue cause? La domanda più importante di tutte è nata dopo aver sentito e letto dei commenti a dir poco vergognosi: per quale motivo tanti ignoranti sentono di avere il diritto di offendere gli autistici? Perché, per essere chiara, non ce l’hanno proprio per niente.
Dare una definizione chiara e precisa dell’autismo, o, meglio, dei disturbi dello spettro autistico (DSA) è complicato. Partiamo dall’etimologia: questa parola viene dal greco autòs, preso nel significato di “stesso”, cioè solo, chiuso nella propria individualità. Non c’è niente di più sbagliato, dato che alcuni soggetti autistici (soprattutto le donne) mostrano un’empatia disperata e quasi eccessiva che può portare a conseguenze nocive e talvolta disastrose. Cercando questo termine sui dizionari si trovano varie interpretazioni: sullo Zanichelli, sotto la voce “a. infantile”, “disturbo che compare nei primi anni di vita ed è caratterizzato dal mancato sviluppo di relazioni sociali, incapacità di usare il linguaggio, apatia, rigidità, giochi ripetitivi, movimenti ritmici”; sul Treccani, a spiegazione di “a. infantile precoce”, “sindrome insorgente nei primi due anni di vita, che si manifesta con profondo distacco dall’ambiente (ma con intense reazioni emotive alle variazioni di questo), comportamenti motori ripetitivi e monotoni, indifferenza ai consueti vezzeggiamenti, linguaggio assente o comunque privo di valore comunicativo”; sul Corriere, anche se non è un vocabolario, “chiusura patologica in se stessi e conseguente mancanza totale o parziale di rapporti con gli altri” (e avrete già capito perché non mi piace). Mentre le prime due definizioni sono giuste (anche se io non capisco l’uso di aggettivi come “infantile” e “precoce”), la terza è totalmente errata. Certo, chi ha un DSA trova complicate le relazioni sociali, ma definire così tassativamente questa difficoltà “chiusura patologica” e “mancanza di rapporti con gli altri” mi sembra eccessivo e offensivo. Non è corretto pensare a una persona autistica come a un barattolo mezzo vuoto con un coperchio rotto così tanto da non potersi aprire, invece è molto più solidale ritenerla semplicemente una persona. Quindi, alla fine di tutte queste virgolette e parentesi, che cos’è l’autismo? Secondo il Dizionario di Medicina Treccani del 2010, un disturbo neurocomportamentale abbastanza raro, diffuso soprattutto fra i maschi, dalla diagnosi generalmente e preferibilmente precoce, spesso fra i due e i tre anni e mezzo di età. Le sue caratteristiche possono essere l’attaccamento alla routine, lo stimming (movimenti e comportamenti ripetitivi legati allo stimolo sensoriale), linguaggio limitato o assente del tutto (condizione che può cambiare e migliorare), , incomprensione e inutilizzo della comunicazione non verbale quale, per esempio, sarcasmo o gesti, evitare il contatto visivo, intelletto fuori dall’ordinario (più alto o più basso rispetto allo standard), non-adesione alle norme sociali, come stringere la mano di chi si incontra o rispondere quando si è chiamati, iperstimolazione sensoriale… È importante ricordare che ognuno, soprattutto se neuroatipico, è diverso dall’altro, perciò non c’è e non ci deve essere una sola definizione dei DSA: l’autismo è uno spettro, un arcobaleno di infiniti punti colorati a ognuno dei quali corrisponde un unico e irripetibile individuo.
Dopo aver spiegato, per quanto possibile, cosa sia, mi concentrerei su cosa l’autismo NON è. In prima posizione, non è una sindrome esclusivamente maschile. Ci sono molte donne nello spettro e ancora di più sarebbero diagnosticate se tutti conoscessimo le caratteristiche dell’autismo femminile, solitamente differenti da quello maschile. Nel caso più diffuso, quello in cui il disturbo è “ad alto funzionamento” (sintagma generalmente evitato dalla comunità, ma corretto dal punto di vista medico), la donna tende a saper usare bene le parole, ad essere quasi esageratamente empatica e/o emotiva, ad acquisire strategie di mascheramento per adattarsi al mondo che la circonda. Queste strategie, incoraggiate dal mondo neurotipico, la denaturano, la portano ad annullarsi con l’inconsapevole intento di conformarsi alla stessa società che la sta danneggiando. In secondo luogo, l’autismo non è una malattia. Vorrei dirlo specialmente a Grillo, che a ottobre 2018 ha urlato in televisione, di fronte a migliaia di spettatori: “Siamo pieni di malattie nevrotiche! Siamo pieni di autismi! L’autismo è la malattia del secolo, signori. […] È pieno di psicopatici. […] Loro (i politici) non hanno emozioni e loro non riconoscono quelle degli altri, sono queste le malattie… professionali di oggi!” Mentre con queste e altre raccapriccianti frasi offendeva le famiglie che lui stesso finge di proteggere, il fondatore dei 5 Stelle ha fatto battute squallide su Macron e sua moglie, ha detto una buona quantità di parolacce e ha esibito una straordinaria ignoranza. Se per qualche motivo avete bisogno di arrabbiarvi, potete andare a vedervi il video su YouTube. Vi assicuro che riuscirete nel vostro intento. Questa affermazione va diretta anche a qualcun altro: l’ipocrita associazione Autism Speaks, che da anni invoca una “cura” o una “prevenzione” per i DSA, fingendosi l’unica voce di persone che sanno comunicare da sole ed essendo, in realtà, una gigantesca macchina per fare soldi. L’autismo, poi, non è un mostro. È solo un compagno di stanza e di vita, un po’ molesto, talvolta, un po’ disordinato o confusionario. Può dare fastidio o provocare dolore, far patire il bullismo o escludere gelosamente dal mondo. Ma è anche amichevole, offre qualche regalo prezioso, non mente mai. L’autismo non è un mostro, e questo messaggio lo inoltro a tutti. Spero che voi facciate lo stesso.
A cura di Elisa Salvadori